“Dobbiamo lottare contro questa escalation militare” – Intervista a Biljana Vankovska, candidata di sinistra per la presidenza macedone

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Oggi 24 aprile si tiene il primo turno delle elezioni presidenziali nella Macedonia del Nord. Il capo dello stato, al contrario dell’Italia, viene scelto direttamente dal popolo. Le elezioni si svolgono in due fasi se nessun candidato raggiunge almeno il 50 percento dei voti durante il primo turno.

Intervista a Biljana Vankovska a cura di Adrian Waters*

Il ruolo di presidente della repubblica, come quello italiano, comprende mansioni cerimoniali e anche l’approvazione del mandato del governo, la nomina degli ambasciatori e la guida delle forze armate. Anche se in teoria chiunque diventa presidente deve rimanere politicamente neutrale, questa funzione è sempre stata politicizzata visto che i presidenti macedoni finora erano membri o sostenuti dai partiti dell’establishment e quindi hanno agito spesso secondo le loro posizioni ideologiche. 

In Macedonia c’è il movimento di sinistra con la crescita più rapida in Europa: il partito Levica (Sinistra), la cui popolarità è in ascesa negli ultimi anni, contribuendo a successi elettorali alle parlamentari del 2020 e alle comunali del 2021. All’inizio di quest’anno il partito ha proposto per la prima volta nella sua storia un candidato per le elezioni presidenziali: Biljana Vankovska, professoressa di relazioni internazionali e di scienze della pace (peace studies) all’ Università dei Santi Cirillo e Metodio nella capitale macedone, Skopje. Lei è un intellettuale e accademico apertamente di sinistra che ha scritto numerose opere accademiche in macedone, inglese e in italiano sulla politica domestica ed estera del suo paese. Inoltre, lei è l’unica candidata che è totalmente contraria al consenso filo-occidentale promosso dai partiti dell’establishment e cerca di fornire un punto di vista alternativo che spesso non si sente nell’opinione pubblica. Vankovska ha ricevuto anche il sostegno e l’endorsement da parte del filosofo croato Srećko Horvat, gli eurodeputati irlandesi di sinistra Mick Wallace e Clare Daly, e il direttore della Transnational Foundation for Peace and Future Research, Jan Oberg.

Lei non è un membro di Levica, ma è stata una sostenitrice attiva del partito da quando è stato fondato nel 2015. Secondo Lei, quali fattori hanno contribuito alla crescente popolarità di Levica negli ultimi anni?

Sì, ero nel primo gruppo di cittadini che hanno presentato le loro firme per l’iscrizione di Levica come partito politico. Ma già conoscevo questo gruppo di giovani che erano stati attivi negli anni precedenti in vari movimenti sociali e iniziative attiviste contro le ingiustizie e l’oligarchia. In breve, loro hanno provato a fare la differenza e a cambiare la società attraverso forme sociali di attivismo, ma il tempo era maturo per decidere di modificare le cose attraverso le istituzioni della democrazia parlamentare. Inoltre, il partito Levica non si è tirato indietro dalla questione nazionale. Infatti, loro hanno rivendicato questa questione come una storicamente tenuta, risolta e avanzata dai socialisti in Macedonia. In questo modo è rimasto connesso alla classe operaia, e ha continuamente guadagnato il sostegno del popolo. 

Prevedibilmente, il discorso pubblico non convenzionale, esplicito, coraggioso e rivoluzionario di Levica ha trovato la sua risonanza ed eco tra i giovani membri della società macedone. Più Levica veniva demonizzata, più diventava popolare tra i giovani, ma anche tra i loro genitori. Le nuove generazioni dicono: basta! E i loro genitori capiscono che questa è una lotta dei loro figli che non vogliono seguire il percorso tracciato dall’establishment e della borghesia, che ha portato al deserto della transizione neoliberale. I “figli della transizione” sono volenterosi e abbastanza coraggiosi per condurre un’altra via verso una società più giusta, per la solidarietà internazionale e per la coesistenza pacifica nei Balcani e su scala globale. 

Quali sono i Suoi obiettivi o aspirazioni principali per la presidenza?

La mia missione principale, come la intendo io, è di essere una che dice la verità! Io sono l’unica tra i sette candidati in questa corsa che userà il motto di George Orwell: in un momento di inganno, dire la verità è un atto rivoluzionario. Questo è esattamente quello che ho scritto nel mio programma elettorale e anche quello che sto facendo mentre parlo con i media. Il nostro obiettivo comune è di smontare la falsa narrativa del capitalismo neoliberale, del militarismo e dell’imperialismo e di appellarsi al buon senso tra i cittadini di tutte le estrazioni sociali. Noi viviamo in una società dove l’assenza di violenza diretta viene proclamata come pace positiva, ma in realtà noi siamo circondati dai meccanismi della violenza strutturale, dalla carenza di libertà (compresa la libertà di parola) e dalla discriminazione a base sociale ed etnica. C’è anche una violenza culturale nella forma del militarismo e della NATO-izzazione della società. Per esempio, io insegno scienze per la pace all’Università dei Santi Cirillo e Metodio a Skopje, ma la dirigenza e i miei colleghi preferiscono organizzare la cosiddetta “accademia della NATO” e portare gli studenti a visitare le unità militari e a mangiare i famosi “fagioli del soldato” durante le gite alle caserme. Io sto cercando di mettere in dubbio le narrative dei miei avversari nelle elezioni presidenziali, visto che loro sono d’accordo sulla NATO e sull’integrazione europea senza alcun pensiero critico. Però, lavorando sul terreno, incontrando gli elettori per le strade e le piazze, e anche attraverso i social io credo che sto iniziando a raggiungere i cuori e le menti delle persone che ne hanno avuto abbastanza delle campagne elettorali datate, indecentemente costose ed aggressive degli altri candidati. Se riesco a passare al secondo turno delle elezioni (che si terrà l’8 maggio insieme alle elezioni parlamentari), penso che sarà una vittoria importante non solo per la sinistra in Macedonia, ma anche in generale. Credo che è cruciale, sia simbolicamente che materialmente, che le voci della ragione antimilitariste siano esplicite ad ascoltate, specialmente in Europa, nella loro lotta contro questa marcia insensata verso una grande escalation militare che noi stiamo vedendo sia sul continente europeo che a livello globale. 

È la prima volta  che in Macedonia c’è un candidato dichiaratamente anti-NATO per il ruolo di Presidente della Repubblica. Potrebbe spiegare il Suo punto di vista sulla NATO ed evidenziare cosa la contraddistingue dagli altri candidati?

Come professoressa di scienze per la pace ed attivista anti-militarista io sono sempre stata contro l’allargamento della NATO e l’interventismo liberale. Sfortunatamente, io sono l’unica nella comunità accademica macedone che la pensa così. È difficile capire come e perché un paese che ha assistito agli orrori della dissoluzione della Jugoslavia (tra cui l’intervento NATO del 1999 riguardo il Kosovo, un atto contrario allo Statuto delle Nazioni Unite) e il conflitto militare interno del 2001, vorrebbe unirsi ad un’alleanza militare. Il pretesto delle élite è sempre stato che la NATO porta la pace, la democrazia e gli investimenti militari. Come forse già sa, l’adesione della Macedonia alla NATO è stata bocciata dalla Grecia a causa della disputa sul nome del paese. Nonostante ciò io ero anche allora contraria all’entrata nella NATO per motivi politici, socio-economici, morali e di sicurezza. Stranamente, Levica è l’unico partito che ha opposto l’adesione alla NATO già dalla sua formazione. Ora condividiamo la stessa posizione e sosteniamo che la situazione è ancora peggiore di quattro anni fa quando la Macedonia è stata ammessa alla NATO. Per prima cosa, la NATO è coinvolta in una guerra per procura in Ucraina e sta apertamente proponendo una ‘NATO globale’ (un eufemismo per un’alleanza militare occidentale e la militarizzazione globale), con la possibilità di spingere per una guerra tra gli USA e la Cina riguardo il Taiwan. Questo non è nient’altro che l’inizio della Terza Guerra Mondiale. Secondo, la Macedonia deve tagliare dalla sua già modesta spesa pubblica una grossa fetta in modo da poter contribuire alle guerre della NATO in tutto il mondo. Solo qualche settimana fa, il governo ha festeggiato il quarto anniversario dell’adesione alla NATO e si è vantato che nel 2024 noi saremo tra i 18 paesi membri che pagano oltre 2 percento del loro PIL per la quota d’iscrizione all’alleanza. Questo è un gesto spudorato in un paese dove la sanità e l’istruzione pubblica sono in grave crisi. Tutti gli altri candidati sono sostenitori accaniti della NATO e addirittura competono per dimostrare chi sarà più fedele all’alleanza. Ma la nostra storia e tradizione come nazione è quella del non-allineamento, non di una partecipazione attiva in alleanze militari. Infatti il popolo macedone non ha mai acconsentito all’adesione alla NATO e il numero di persone che voterebbe per uscire da essa è cresciuto esponenzialmente da quando il paese è stato spinto con la forza dentro l’alleanza. 

Lei si è opposta al Trattato di Prespa sul cambio del nome con la Grecia, alla recente intesa con la Bulgaria e all’Accordo di Ohrid che portò fine al conflitto armato del 2001. Le ha descritte come “il triangolo delle Bermuda dello stato macedone”. Potrebbe spiegare in modo più approfondito cosa vuole dire con questa descrizione? 

Dal 2001 il popolo macedone ha perso il loro diritto ad avere la loro costituzione (ovvero definire il proprio contratto sociale) a causa di pressioni dall’estero. L’Accordo di Ohrid del 2001 ha modificato il sistema politico da uno liberale a un modello consociativista di quasi-democrazia. In breve, è un sistema guidato da bande etno-tribali di élite, e il demos (popolo) è sostituito da demoi (popoli), o meglio ethnos (etnie). Gli altri due trattati sono stati, per usare termini coloniali, imposti e mediati dalle potenze occidentali per placare gli appetiti e i miti nazionalisti delle élite dei paesi confinanti che affermano che non esiste assolutamente un popolo, una lingua, una cultura o una storia macedone. Tutto questo è stato fatto in modo che la NATO raggiunga i suoi obiettivi geostrategici a spese del diritto di autodeterminazione dei macedoni e attraverso la violazione delle norme internazionali. 

Lei ha descritto la situazione attuale della Macedonia come simile a quella di una colonia. Potrebbe spiegare meglio cosa intende con questa valutazione?

La solita e la più semplice definizione di colonialismo sarebbe il controllo di una potenza su un’area o popolo dipendente. In Macedonia dobbiamo fare i conti con un neocolonialismo di un tipo occidentale specifico. È vero che non ci sono grandi risorse naturali da sfruttare, ma sia il paese che la regione balcanica fanno parte della cosiddetta sfera d’interesse occidentale. Durante i primi anni 90, pochi credevano che la Macedonia potesse sopravvivere come uno stato indipendente, invece il popolo macedone lo ha consolidato come un attore internazionale in un momento che coincideva con l’era unipolare e l’egemonia statunitense. Sembrava naturale che la leadership del paese iniziasse a guardare verso occidente, seguendo l’esempio degli altri stati post-socialisti. Era proprio in quel momento che il principio del TINA (There is No Alternative, in italiano: Non C’è Alternativa) fu instaurato nelle menti e nei cuori delle élite. Da allora la società macedone è stata addestrata a pensare e addirittura a credere che le ricette e le terapie occidentali siano le migliori. Di conseguenza, la NATO e l’UE sono diventati una religione laica. La cosa peggiore è che il pensiero critico o i dibattiti su altre alternative sono state dipinte come discorsi nazionalisti e politicamente scorretti. In questo modo il popolo macedone ha perso la sua sovranità costituzionale e la capacità di pensare e agire secondo i propri interessi politici e non. Dal conflitto del 2001 tra i ribelli di etnia albanese e le forze di sicurezza macedoni, la costituzione del paese è diventata un atto legale in cui le potenze straniere inserivano i loro piani per la “pace e la stabilità”. Più tardi, la storia, la cultura, l’identità nazionale e il nome del paese sono stati scambiati con un presunto futuro migliore nell’UE. Invece, la Macedonia è diventata il 30esimo paese membro della NATO e sta contribuendo alla sua guerra per procura in Ucraina. Il potere fu tolto dal popolo che divenne apatico e quindi la maggioranza è stata sopraffatta da una sensazione di impotenza. Adesso le élite macedoni sono quelli che dirigono la società e le risorse nazionali nell’ interesse delle potenze occidentali. 

La Sua critica del coinvolgimento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nella politica macedone è nota. Quali sono le ragioni di queste critiche? 

Queste si possono intuire dalle mie risposte precedenti. La Macedonia e anche gli altri paesi dei cosiddetti Balcani occidentali sono stati soggetto dello statebuilding. Questo significava trattare un paese come solamente un territorio qualsiasi e prescrivere medicine occidentali nonostante le diverse circostanze sociali. Molte di queste medicine diedero risultati opposti (un effetto iatrogeno, come lo chiamerebbero quelli che lavorano in medicina). Oggigiorno quando l’Occidente sta subendo un declino politico e morale, le cose stanno peggiorando. Niente di buono venne dall’adesione alla NATO e molte nuvole scure si stanno raggruppando all’orizzonte. 

Il Suo sostegno dichiarato per la Palestina è evidente. Manterrà questa posizione se eletta presidente, e come la rende diversa dagli altri candidati su questo argomento?

Purtroppo io sono l’unico candidato che alza la voce contro il genocidio dei palestinesi. Onestamente, al momento mi sento male perché non ho avuto abbastanza tempo per dedicarmi a questo problema a causa della mia campagna elettorale, ma spesso indosso la kefiah palestinese attorno al collo. È il modo in cui protesto e mostro solidarietà a questo popolo coraggioso. Se sarò eletta presidente, farò molto di più riguardo a questo.

Lei ha descritto il Suo approccio come radicale sia in termini di analisi che di soluzioni. Potrebbe elaborare su che cosa consiste questo radicalismo se diventerà presidente? Cosa vorrebbe portare a questo ruolo se verrà eletta?

Io sono molto consapevole del mondo che cambia e della crisi globale che potrebbero essere un’opportunità per alterare l’ordine internazionale odierno. La Macedonia deve essere dalla parte giusta della storia, lavorare sulla coesistenza pacifica e la cooperazione internazionale per il suo bene e per la pace nel mondo. Se no, siamo tutti spacciati! Mi occorrerà un notevole sforzo per sensibilizzare i cittadini e dimostrare che la NATO non porta la pace e che l’UE è solo il gemello siamese dell’alleanza. Per ora dobbiamo cercare di realizzare la neutralità militare e di fare amicizie nella regione balcanica e altrove. 

Quali sono le Sue influenze politiche e intellettuali o fonti d’ispirazione? Lei ha avuto occasione di poter interagire con altri partiti e/o figure di sinistra fuori dalla Macedonia? Quali La ispirano di più? 

Dal punto di vista accademico e morale provengo dal campo della pace e della risoluzione dei conflitti, quindi i miei eroi non sono a favore della guerra, ma della pace. Clare Daly (l’eurodeputata del partito di sinistra irlandese Independents 4 Change) è una buona amica e compagna, così come Jan Oberg e Yanis Varoufakis. Tutti quanti devoti a cause progressiste e a lavorare a una ridefinizione pacifica del nostro mondo. 

Qual è lo scenario ottimistico, pessimistico e realistico per la Macedonia nel contesto delle elezioni e dopo? 

Io di solito seguo il pensiero di Gramsci: pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà. Ecco perché ho accettato quest’ obbligo e onore di combattere in una competizione elettorale iniqua in Macedonia nella speranza che uno possa cambiare le cose con la forza del proprio esempio. 

Изворно интервјуто прочитајте го тука.

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